Licenziamento via PEC: è valido se inviato al legale?
Nel mondo del lavoro, uno dei momenti più delicati è senza dubbio quello del licenziamento. Ma come deve avvenire correttamente la comunicazione di un recesso da parte del datore? Può bastare una PEC inviata all’indirizzo del legale del lavoratore? Secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione, sì. Vediamo perché.
Il caso concreto: un licenziamento, tre notifiche
Tutto parte da un caso reale: un lavoratore viene licenziato e il datore di lavoro invia la comunicazione in tre modi diversi — via PEC al difensore del dipendente, per raccomandata allo studio del legale, e infine all’indirizzo di residenza del lavoratore. Quest’ultimo impugna il provvedimento, sostenendo che la comunicazione sarebbe nulla perché non inviata direttamente a lui. Ma i giudici, fino alla Corte di Cassazione (sentenza n. 7480 del 20 marzo 2025), non sono stati d’accordo.
Domicilio digitale: se lo scegli, lo accetti
Il nodo della questione è che il lavoratore, durante il procedimento disciplinare che aveva preceduto il licenziamento, aveva dichiarato espressamente di voler ricevere tutte le comunicazioni all’indirizzo PEC del suo avvocato. In termini legali, aveva “eletto domicilio” presso lo studio legale. In pratica, aveva scelto liberamente di farsi rappresentare e di far arrivare lì ogni comunicazione ufficiale.
E questo, secondo la Cassazione, basta per rendere valida la comunicazione via PEC al difensore. Il motivo? La fiducia implicita tra cliente e avvocato e il fatto che la normativa forense considera la PEC dell’avvocato un “domicilio digitale privilegiato”.
Ma la legge lo prevedeva? La Cassazione dice di sì
Il lavoratore sosteneva anche che, all’epoca dei fatti, la legge non permetteva di inviare il licenziamento alla PEC dell’avvocato, ma solo a quella del lavoratore. La Corte ha però ricordato che già allora lo statuto dell’avvocato riconosceva valore legale alla sua PEC, rendendola pubblicamente consultabile attraverso l’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC). Quindi non si trattava di una scelta arbitraria del datore di lavoro.
Non conta solo la forma, ma la sostanza
Questa sentenza si inserisce in un filone più ampio di decisioni giurisprudenziali che guardano non tanto al “mezzo” della comunicazione, ma al fatto che il lavoratore ne sia venuto a conoscenza. Che si tratti di una e-mail, un messaggio WhatsApp, o persino un SMS, ciò che conta è che il messaggio sia chiaro, provenga davvero dal datore e raggiunga effettivamente il lavoratore.
È lo stesso principio affermato già nel 2007 (Cass. civ., n. 23061): in mancanza di regole precise, qualsiasi modalità che consenta la trasmissione effettiva e verificabile del licenziamento può essere considerata valida e quindi anche la comunicazione del licenziamento via PEC al legale.
Un esempio di diritto che evolve con la tecnologia
Questa decisione conferma come il diritto del lavoro italiano stia tenendo il passo con l’evoluzione digitale. La PEC, sempre più diffusa anche tra i cittadini, viene ormai trattata al pari di altri strumenti di comunicazione ufficiale. L’importante è che garantisca trasparenza, tracciabilità e soprattutto che il lavoratore sia effettivamente messo a conoscenza del provvedimento.
In definitiva, la Cassazione ha stabilito che la comunicazione di un licenziamento via PEC all’indirizzo del legale è legittima, ma solo se è stato il lavoratore stesso a scegliere quella strada.
avv. Federico Palumbo