COVID-19 e locazione commerciale

Una questione alquanto delicata che si sta ponendo in questi giorni è legata alla sorte delle locazioni commerciali e, più nello specifico, dei relativi canoni, che, pur in presenza di una situazione di oggettiva impossibilità di esercizio dell’attività, sono contrattualmente dovuti e, di conseguenza, dovrebbero essere regolarmente corrisposti dai conduttori.

Sul punto il D.L. 17 marzo 2020, n. 18, noto come Decreto Cura Italia, ha previsto un primo intervento all’art. 65, stabilendo che “1. Al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa è riconosciuto, per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1. 2. Il credito d’imposta non si applica alle attività di cui agli allegati 1 e 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020 ed è utilizzabile, esclusivamente, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241”.

In sostanza, ai soggetti esercenti attività di impresa in un immobile in locazione è riconosciuto un credito di imposta pari al 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, da utilizzare esclusivamente in compensazione, ovvero per compensare, in sede di versamento, le imposte dovute.

Siffatto intervento, pur utile, non consente però di risolvere gli ovvi problemi di liquidità cui stanno andando incontro sopratutto gli esercizi commerciali, indi per cui una tematica giuridica non trascurabili riguarda il dibattito se, in assenza di ulteriori interventi legislativi, sia comunque possibile ricavare dalle norme attualmente esistenti elementi utili per poter sostenere il diritto dei conduttori di ottenere la sospensione o quantomeno la riduzione del canone di locazione di cui sono gravati.

In questo senso, se è evidente che un conduttore non può certo ritenersi esentato dall’obbligo di pagamento del canone per il sol fatto di non utilizzare l’immobile oggetto di locazione, è altresì vero che tale considerazione trova il suo fondamento in una realtà ‘normale’, ovvero in una situazione in cui, a differenza di quella attuale, non si è in presenza di un’oggettiva, straordinaria e assolutamente imprevedibile condizione di impossibilità di esercitare la propria attività di impresa e, di conseguenza, trarre utilità dal bene per cui viene pagato un corrispettivo.

Per trovare una risposta all’esigenza di conduttori commerciali di alleviare le pesanti conseguenze commerciali della crisi è perciò necessario partire dal presupposto per cui la nazione verse in una situazione di crisi eccezionale, in cui i principi generali devono essere riletti alla luce della peculiarità del momento, nonché della normativa emergenziale sin ora adottata.

Da questo punto di vista proprio il citato Decreto Cura Italia fornisce un primo appoggio interpretativo all’art. 91, ai sensi del quale “Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c. [ovvero le norme che disciplinano le conseguenze risarcitorie in caso di inadempimento del debitore], della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

Il legislatore, ai fini dell’inadempimento del debitore, ha quindi attribuito rilievo al rispetto delle misure di contenimento previste dalla normativa emergenziale, la quale come noto ha comportato la chiusura delle attività non essenziali, ma, allo stesso tempo, non ha introdotto alcun automatismo, bensì una valutazione che, pur obbligatoria e dovuta d’ufficio anche in assenza di specifica eccezione di parte, non implica di per sé un effetto liberatorio (in altre parole si dovrà valutare di caso in caso se la situazione emergenziale può assurgere a scusante).

La norma nulla dice invece circa i provvedimenti di convalida di sfratto relativi a morosità maturate durante il periodo di vigenza della normativa emergenziale, tuttavia, tenendo della ratio dell’intervento legislativo, si può ipotizzare che gli effetti della stessa possano eventualmente essere estesi anche a tale fattispecie, che peraltro costituisce una forma di tutela anticipata.

Non diversamente una simile interpretazione estensiva parrebbe possibile anche nell’ipotesi dell’ordinanza di rilascio prevista dall’art. 665 c.p.c., rispetto alla quale vi è anche un aggancio normativo legato al fatto che la stessa norma subordina il provvedimento all’assenza di gravi motivi contrari, ovvero un’ipotesi in cui pare possibile ricondurre l’eccezionale situazione attuale.

Va comunque detto che, trattandosi di obbligazioni monetarie, per esse vale il generale principio per cui il pagamento di una somma di denaro difficilmente può essere impossibile, indi per cui, laddove il conduttore volesse provare ad avvalersi delle tesi sopra esposte, dovrebbe comunque fornire ampia prova del fatto che le circostanze eccezionali oggetto della normativa emergenziale hanno reso impossibile l’approvvigionamento della somma dovuta al locatore.

Tornando però alla questione principale, va detto che meno praticabile, vista l’assenza di previsioni normative, è invece la strada dell’attribuzione al conduttore di un diritto ad ottenere una riduzione del canone, per quanto tale soluzione risponderebbe perfettamente ad una logica di giustizia sostanziale, visto che, a ben vedere, il divieto di esercizio delle attività commerciali se da una parte comporta l’impossibilità per il conduttore di utilizzare il bene, dall’altra si traduce anche nell’altrettanta oggettiva impossibilità per il locatore di utilizzarlo in modo alternativo per trarne una qualche utilità, ragion per cui una riduzione del canone avrebbe senso per contemperare gli interessi e ripartire gli effetti negativi tra le parti (ora invece ne è integralmente gravato il conduttore).

Va infine osservato che, qualora la situazione emergenziale dovesse prolungarsi ulteriormente, potrebbe configurarsi il diritto del conduttore a recedere dal contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, posto che, come specificato dalla giurisprudenza, tale impossibilità “si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione da parte del creditore per cause a lui non imputabili” (Cass. civ. Sez. III, 10/07/2018, n. 18047).