Quanto dura l’enfiteusi?

Nel momento in cui si acquisisce la conoscenza dell’esistenza di un diritto di enfiteusi su un immobile la prima domanda che tende a porsi l’enfiteuta/livellario è se tale diritto, spesso risalente anche a prima del XIX secolo, sia o meno sottoposto ad un vincolo di durata.

La tematica, invero, è ben più complessa di quanto possa sembra in apparenza e ciò perché, trattandosi come detto di rapporti nati solitamente in epoche ormai distanti, essi in larga parte sono stati concepiti sotto la vigenza della variegata legislazione preunitaria, che, ovviamente, proponeva le soluzioni più disparate sia dal punto di vista formale, che dal punto di vista sostanziale.

Senza però divagare eccessivamente, si può comunque dire che ad oggi la regola valevole per tutti i rapporti enfiteutici, antecedente e posteriori all’entrata in vigore del codice civile del 1942, è quella contenuta nell’art. 958 cod. civ., ai sensi del quale “L’Enfiteusi può essere perpetua o a tempo“, fermo restando che “L’enfiteusi temporanea non può essere costituita per una durata inferiore ai venti anni“.

Nel nostro ordinamento il rapporto enfiteutico può quindi avere una durata perpetua, ovvero illimitata nel tempo, o una durata specifica, purché non inferiore ai venti anni, ma in quest’ultimo caso è necessario che nel titolo costitutivo vi sia apposita indicazione del termine, giacché, in assenza, il rapporto si presume perpetuo.

Detto ciò è infine opportuno precisare che il concetto di durata del diritto di enfiteusi è legato quasi esclusivamente alla posizione dell’enfiteuta. Il diritto del concedente, infatti, non cessa alla scadenza del rapporto enfiteutico, anzi esso, limitato al c.d. dominio diretto, si espande nuovamente tornando ad assumere i contorni della piena proprietà.