Usi civici: la domanda di legittimazione preclude ogni ulteriore accertamento giurisdizionale

Nell’area del diritto civile non di rado è necessario confrontarsi con problematiche e discipline che, pur in apparenza desuete, hanno ancora carattere di grande attualità, e tra queste una tematica molto rilevante in tempi recenti è quella connessa ai c.d. usi civici, che, su indicazione della Corte dei Conti, le Regione e i Comuni stanno progressivamente riattivando, creando ovviamente notevole scompiglio in chi, dopo decenni di possesso indisturbato in qualità di pieno proprietario, si è visto recapitare una richiesta di pagamento di canone enfiteutico o, nella peggiore delle ipotesi, catalogare il proprio fondo come demaniale.

Ebbene, in relazione a quest’ultima ipotesi particolarmente utile è ricordare il principio dettato dalla Corte di Cassazione secondo cui  la domanda di legittimazione proposta ex art. 9 L. 16 giugno 1927 n. 1766 comporta necessariamente il riconoscimento della demanialità del suolo e, implicitamente, la rinuncia a far valere qualsiasi pretesa sul fondo, che, preclusiva di ogni ulteriore accertamento giurisdizionale, si traduce nel fatto che una volta scelta la via della legittimazione non è possibile sostenere, una volta rifiutata la legittimazione, la allodialità del fondo.

In definitiva, se all’esito di una verifica demaniale doveste risultare occupanti di una terra demaniale gravata da uso civico, prima di presentare un’istanza di legittimazione siete caldamente invitati a consultare un esperto in materia per evitare errori procedurali che potrebbero costare poi molto caro in caso di rigetto dell’istanza, sulla quale, è ben ricordare, non deciso il Comune, chiamato a dare solo un parere, ma la Regione (precisazione quantomai opportuna visto che spesso i Comuni tendono a rassicurare i cittadini dando per scontata la legittimazione quando così non è).

Usi civici istanza di legittimazione
L’istanza di legittimazione preclude altri accertamenti

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILIComposta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Ferdinando ZUCCONI GALLI FONSECA

Primo Presidente Agg.to

” Gaetano CAROTENUTO Pres. di Sez.

” Alberto ZAPPULLI “

” Paolo VERCELLONE Consigliere

” Enzo BENEFORTI “

” Mario CORDA “

” Francesco FAVARA “

” Giuseppe ROTUNNO “

” Nicola LIPARI Rel. “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1425-83 del R.G.AA.CC., proposto da

Omissis e Omissis – in persona dell’Amministratore Unico in carica, entrambi elettivamente domiciliati in Omissis presso lo studio dell’avv. Omissis, che li rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;

Ricorrenti

contro

COMUNE DI CURINGA, in persona del Sindaco in carica, elettivamente domiciliato in Roma Omissis presso lo studio dell’Avv. Omissis, rappresentato e difeso dall’Avv. Omissis, giusta delega a margine del controricorso;

Controricorrente

e contro

COMUNE DI MAIDA, in persona del Sindaco in carica, elettivamente domiciliato in Omissis presso lo studio dell’Avv. Omissis, rappresentato e difeso dall’Avv. Omissis, giusta delega a margine del controricorso;

Controricorrente

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro depositata il 2.2.1982;

Udita nella pubblica udienza, tenutasi il giorno 26 Gennaio 1989, la relazione della causa svolta dal Cons. Rel. Lipari;

Uditi gli avvocati Romano e Mangani;

Udito il Pubblico Ministero, nella persona del Dr. Mario Caristo, Avvocato Generale presso la Corte Suprema di Cassazione, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo motivo del ricorso, l’inammissibilità del secondo nonché il rigetto del terzo.

Svolgimento del processo

Con ricorso 28 ottobre 1971,depositato in cancelleria il 29 novembre 1971, la s.r.l. “Caty – Curinga Lamezia” chiedeva al Pretore di Maida il riconoscimento in proprietà, ai sensi della l. 14 novembre 1962 n. 1619, del fondo “Sirene, Maddone e Mocata” in agro del comune di Curinga, di ettari 49 e mezzo, invocando un possesso esclusivo, pubblico, pacifico ed ultra quarantennale, goduto ex art. 1146 comma 2 cod. civ., cumulando al proprio conseguito per atto di acquisto notar Grispini del 4 giugno 1971 da Francescantonio quello del dante causa Bevilacqua, il quale lo aveva acquistato per successione paterna.

Proponeva rituale opposizione il Comune di Curinga, rivendicando l’appartenenza del suddetto fondo al proprio demanio comunale, risultando provata la demanialità dalle Ordinanze: 2 gennaio 1811 del Segretario Generale di Intendenza Giannattasio; 2 dicembre 1911 del Commissario Colletta e 22 agosto 1826 dell’Intendente Capece Minutolo; essendo stata da ultimo confermata tale demanialità dall’ordinanza del 30 giugno 1958, emanata dal Commissari per la liquidazione degli usi civici delle province di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria il quale, in esito a procedure di verifica delle usurpazioni di terreni (1) nel dominio e nel possesso delle zone usurpate, tra le quali era ricompreso il fondo “Sirene Maddone”. Il Comune opponente pertanto, chiedeva che fosse dichiarata inammissibile, o comunque infondata, la domanda di regolarizzazione della proprietà dalla società Caty, riconoscendo la spettanza del fondo suddetto al proprio demanio ed ordinandone il rilascio a suo favore.

Anche il Comune di Maida proponeva opposizione, pure basata sulla pretesa demanialità, limitatamente alle particelle 1 e 2 foglio 15 del fondo “Sirene e Maddone”. Detto Comune faceva altresì presente di essersi opposto, in sede di procedura instaurata da terzi presso il commissario per gli usi civici, ai sensi dell’art. 9 l. 16 giugno 1927 n. 1766 volta alla legittimazione della occupazione di alcuni terreni demaniali in uso civico, ivi comprese le particelle summenzionate.

Il Comune di Maida, richiedeva, pertanto, che il Pretore dichiarasse la propria incompetenza per materia (sic) e che subordine sospendesse il procedimento in attesa della pronuncia del Commissario per gli usi civici, competente al riguardo; in via ancor più subordinata chiedeva che, relativamente alle indicate particelle fosse respinta la domanda di riconoscimento in proprietà della Caty.

La società Caty, costituitasi eccepiva l’incompetenza per valore del giudice adito, chiedendo comunque, in via subordinata, il rigetto delle due opposizioni, nell’assunto che il fondo “Sirene e Maddone”, di natura allodiale e non demaniale, era stato venduto dallo stesso comune di Curinga ai danti causa di Francescantonio Bevilacqua, con atto per Notar Morelli del 10 luglio 1868.

Il Pretore, riunite le opposizioni e riconosciute la propria incompetenza per valore, rimetteva le parti davanti al Tribunale di Lamezia Terme. I giudizi venivano separatamente riassunti e successivamente riuniti, ed il Comune di Curinga dava atto che le particelle 1 e 2 fol. 15 del fondo “Sirene e Maddone” appartenevano al demanio del Comune di Maida, precisando che la eccezione di incompetenza per materia sollevata doveva intendersi rettificata in eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

La società Caty presentava domanda riconvenzionale contro il Comune di Curinga per il rilascio di 92 ettari del fondo ancora detenuti dalla Pubblica amministrazione (evidentemente nell’interesse del Bevilacqua) nonché di risarcimento danni, per culpa in contrahendo dello stesso Comune, in relazione al contratto del 1865 per l’ipotesi, che fosse stata riconosciuta la natura demaniale del fondo in contestazione.

Interveniva volontariamente nel giudizio Francescantonio Bevilacqua il quale, condividendo le argomentazioni difensive della società Caty, e trascurando l’opposizione prodotta dal Comune di Maida, chiedeva che venisse rigettata l’opposizione del Comune di Curinga; che il fondo “Sirene e Maddone” venisse riconosciuto di proprietà della società Caty per la parte acquistato con l’atto del 1971 e di proprietà di esso interveniente per la parte residua (di 92 ettari) con la condanna del Comune, per questa seconda parte, al rendiconto dei frutti con decorrenza dal 1962. Chiedeva, inoltre, che, in caso di rigetto delle precedenti richieste, il Comune di Curinga venisse condannato al risarcimento dei danni per culpa in contrahendo, in relazione al contratto del 1868 in misura di ottocento milioni, così rivalutata la somma pagata a titolo di prezzo nel 1868; ed, infine, in via ancora più subordinata, che il Comune fosse condannato alla restituzione delle somme corrispondenti. L’adito Tribunale di Lamezia Terme così provvedeva:

1) dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in ordine alla controversia insorta tra le parti sulla natura, demaniale o allodiale sul fondo “Sirene Maddone e Mocata”, essendone devoluta la cognizione al Commissario per la liquidazione degli usi civici nelle province di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria;

2) dichiarava inammissibile la domanda di rilascio avanzata in via riconvenzionale dal Comune di Curinga nei confronti della società Caty;

3) dichiarava altresì inammissibili, allo stato, tutte le altre domande proposte in via riconvenzionale e subordinate dalla soc. Caty e il Bevilacqua Francescantonio;

4) condannava la soc. Caty e il Bevilacqua al pagamento delle spese del giudizio in favore dei Comuni di Curinga e di Maida.

Proponevano appello la soc. Caty e Francescantonio Bevilacqua chiedendo che, in riforma dell’impugnata sentenza, fosse ritenuta la giurisdizione del giudice ordinario adito e fossero accolte tutte le domande da loro rispettivamente spiegate nell’atto introduttivo e nel corso del giudizio di primo grado.

La Corte di Appello di Catanzaro:

1) rigettava la domanda di risarcimento danni proposta alla soc. Caty nei confronti del Comune di Curinga per “culpa in contrahendo” in riferimento alla cessione ai danti causa della società “Sirene Maddone e Mocata” da parte del Comune con atto per notar Morelli del 10-7-1868;

2) dichiarava inammissibili le domande del Bevilacqua nei confronti del comune di Curinga;

3) confermava nel resto – tranne che nel capo concernente le spese giudiziali – l’impugnata sentenza.

In ordine ai punti investiti dal presente ricorso per cassazione, la Corte del merito ha osservato che la questione dell’indagine sulla “qualitas soli” non solo era stata esattamente risolta dal Tribunale dal punto di vista teorico, ma risultava addirittura superata perché preclusa dalla proposizione da parte del Bevilacqua e dalla di lui madre, dell’istanza di legittimazione del possesso degli appezzamenti da loro occupati e poi ceduti alla soc. Caty, istanza disattesa dall’ordinanza del Commissario agli usi civici del 30 giugno 1958 (con cui era stata disposta la reintegra in favore del comune ed il rilascio da parte degli abusivi occupatori tra i quali il Bevilacqua e sua madre); avendo tale ordinanza acquistato carattere di definitività dopo l’inutile esperimento contro di essa dei rimedi di legge (decisione Cons. Stato 15-11-1974, sentenza C. app. Roma – Sez. spec. Usi civici – del 29-2-1968 confermata da Cass. Sez. Un.18-5-1972). Delle subordinate azioni risarcitorie, conseguenti alla dichiarata nullità degli atti di trasferimento quella della soc. Caty andava rigettata, in quanto diretta contro il Comune di Curinga e non contro il venditore Bevilacqua solo legittimato passivamente, mentre quella del Bevilacqua risultava inammissibile perché l’intervento i costui doveva qualificarsi come “adesivo dipendente” (“ad adiuvandum”) e conseguentemente egli non avrebbe potuto proporre domande diverse da quelle della soc. Caty, parte adiuvata, ma solo sviluppare difese esclusivamente nell’ambito delle domande e delle eccezioni di detta parte; esaminando “ad abundantiam” il merito, osservava il Collegio che l’azione risultava prescritta e non era configurabile indebito arricchimento del Comune, poiché, da un lato il Bevilacqua e i suoi danti causa avevano goduto del fondo per circa un secolo, mentre il presso sborsato per l’illegittimo acquisto ed i miglioramenti apportati al fondo erano stati considerati ai fini della quantificazione della somma che il Bevilacqua e la Stillitani erano stati condannati a versare, a titolo di restituzione dei frutti percetti con la ripetuta ordinanza commissariale del 30 giugno 1958; andava confermato il capo della sentenza relativo alla controversia tra il Comune di Maida e la soc. Caty, essendovi prova documentale che le particelle in contestazione appartenevano a quel Comune, come anche espressamente riconosciuto dal Comune di Curinga.

Avverso la riassunta sentenza la soc. Caty e il Bevilacqua hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

con il primo di essi, denunciando violazione dell’art. 105 1° comma c.p.c. e vizi di motivazione, il ricorrente Bevilacqua si duole che il proprio intervento sia stato qualificato dalla Corte del merito come “adesivo dipendente “mentre dal petitum” avanzato fin dal primo grado del giudizio – e di cui il giudice di appello aveva pure dato atto – avrebbe dovuto conseguire la qualificazione dell’intervento come “autonomo”, precisamente in relazione al diritto di proprietà da questi vantato sulla parte del fondo residuo dopo la vendita da questi fatta alla soc. Caty di altra parte del fondo, in relazione alla quale ultima – e soltanto in relazione a questa – legittimamente l’intervento avrebbe dovuto qualificarsi come “adesivo”, essendo egli tenuto ex lege a difendere la validità della vendita effettuata.

Con secondo mezzo il ricorrente censura quel capo della sentenza che afferma che, anche a prescindere dalla loro inammissibilità, le domande subordinate di risarcimento dei danni avanzate dallo stesso dovevano considerarsi prescritte, risalendo il contratto stipulato tra il Comune di curinga e i suoi danti causa al 10 luglio 1868 ed avendo il Comune medesimo avuto cognizione comunque dell’inalienabilità dell’immobile trasferito nel corso della procedura davanti al Commissario agli usi civici definita con la già menzionata ordinanza del 30 giugno 1953.

Il Bevilacqua sostiene che i propri diritti al risarcimento – (ed aggiunge: ” per quanto di ragione anche quelli della soc. Caty”) – non avrebbero potuto considerarsi prescritti perché il dies a quo non decorre dall’ordinanza del Commissario del 30-5-1958 – atto amministrativo che il ricorrente sostiene di avere ignorato (pur avendo proposto l’istanza di legittimazione

che l’ordinanza aveva disatteso) ma, o dalla data dell’immissione nel possesso del Comune di Curinga (5-10-1978), o dalla dichiarazione di nullità dell’atto per notar Morelli pronunciata dall’autorità giudiziaria (e non già rilevata dal commissario per atto amministrativo).

D’altra parte, non essendo stata l’eccezione di prescrizione riproposta in appello, essa avrebbe dovuto intendersi abbandonata ex art. 246 c.p.c..

Il ricorrente afferma di aver conosciuto l’ordinanza commissariale solo con la notifica della richiesta di pagamento del canone di affitto, avvenuta nell’ottobre del 1962 e che tutte le azioni ed i ricorsi da lui successivamente esperiti avrebbero dovuto considerarsi atti interruttivi.

(Il controricorrente comune di Curinga obietta che l’impugnativa proposta dal Bevilacqua il 26-10-62 davanti alla Corte di appello di Roma – Giudice carente di giurisdizione – non avrebbe mai potuto avere effetto interruttivo della prescrizione).

Col terzo mezzo il ricorrente, sollevando questione di giurisdizione, e denunciando violazione di legge e vizi di motivazione, si duole che la Corte del merito non abbia rilevato il difetto di giurisdizione del commissario agli usi civici in ordine a pronuncia che incideva sul proprio diritto soggettivo di proprietà derivante da titolo contrattuale dei suoi danti causa e non abbia, quindi, disapplicato – come atto amministrativo emesso in carenza assoluta di potere – la più volte citata ordinanza del 1958 e che, conseguentemente, non abbia deciso il merito della causa, tenendo presente che – secondo la legislazione vigente al tempo della stipula dell’atto Morelli – erano state osservate tutte le norme concernenti il processo di formazione della volontà dell’ente pubblico ed i controlli dell’autorità tutoria e che, infine, l’immobile in questione era alienabile, non contenendo il codice civile del 1865 alcun divieto di alienazione dei beni comunali, suddivisi esclusivamente ex art. 432 in “vani di uso pubblico e in patrimoniali” senza pertanto prevedere un “demanio comunale”.

Non potendo il provvedimento amministrativo costituire “giudicato”, e essendo la questione della validità dell’atto Morelli attribuita alla cognizione del giudice ordinario, la Corte del merito, avendo riconosciuto che la definizione della qualitas soli era attribuita alla giurisdizione esclusiva del Commissario, avrebbe dovuto sospendere il processo in attesa di una nuova pronuncia dello stesso – in sede giurisdizionale – limitata alla qualificazione del suolo.

Resistono con controricorso il Comune di Curinga e – limitatamente alla questione di giurisdizione prospettata nel terzo motivo di ricorso – anche il Comune di Maida.

In particolare il Comune di Curinga obietta che l’ordinanza commissariale avrebbe dovuto essere ritualmente impugnata davanti al Consiglio di Stato.

Motivi della decisione

1. Il nodo problematico della presente controversia è rappresentato dall’accertamento della natura demaniale o allodiale del fondo “Sirene Moddone e Mocate” in agro del Comune di Curinga una parte del quale era stato alienato alla società Caty, nel 1971, da Francescantonio Bevilacqua cui il fondo stesso era pervenuto in linea ereditaria, essendo stato alienato dallo stesso Comune nel 1868 al suo dante causa.

Al riguardo la decisione della Corte d’Appello appare ineccepibile ed il terzo motivo del ricorso che, toccando profili inerenti alla giurisdizione, deve essere esaminato per primo, resta superato, non essendo più possibile discutere in questa causa della natura demaniale del fondo in contestazione, essendosi formata una preclusione che, pur non discendendo dal giudicato in senso tecnico ma riconnettendosi a comportamenti tenuti dagli interessati, spiega l’effetto fondamentale di rendere incontestabile la situazione giuridica relativa alla qualitas soli nel senso della demanialità da uso civico.

Giustamente la sentenza impugnata ha dato rilievo determinante alla circostanza dell’avvenuta presentazione della domanda di legittimazione di terre di uso civico ex art. 9 l. 16 giugno 1927 n. 1766 da parte del Bevilacqua che pretende ciononostante di contestare ulteriormente la demanialità.

Tale domanda, infatti, comporta necessariamente il riconoscimento della demanialità del suolo e come tale integra una rinuncia a far valere una qualsiasi pretesa sul fondo, preclusiva di ogni ulteriore accertamento giurisdizionale di cui il rinunciante abbia preso l’iniziativa non rilevando il carattere non giurisdizionale del procedimento di legittimazione.

In presenza di una domanda siffatta il giudice ordinario non può procedere alla valutazione della natura giuridica del suolo, né provvederà alla restituzione degli immobili in contestazione se non dopo che, attraverso il riconoscimento della legittimazione, resti esclusa la qualitas demaniale del fondo medesimo.

Nella specie di fronte alla richiesta di legittimazione presentata da Francescantonio Bevilacqua e dalla di lui madre, Giulia Stillitani vedova Bevilacqua, il Commissario agli usi civili della Calabria, con la ricordata ordinanza 30 giugno 1958 ha disposto la reintegra del Comune di Curinga “nel dominio e nel possesso dei beni di cui si discute a carico degli abusivi occupatori”, fra cui il Bevilacqua e la di lui madre.

Il Bevilacqua si è opposto al provvedimento commissariale, impugnandolo sia in sede di giurisdizione ordinaria che in sede di giurisdizione amministrativa, ma per un verso il Consiglio di Stato, con decisione del 15 novembre 1974 ha dichiarato irricevibili i ricorsi; e sull’altro versante la Corte d’appello di Roma, sezione speciale usi civici, con sentenza 29 febbraio 1968, confermata dalla Corte di Cassazione, ha dichiarato inammissibile il reclamo.

Quindi, nonostante il carattere non giurisdizionale della pronuncia resa in sede commissariale, la situazione giuridica relativamente alla qualità di quel suolo come demaniale è divenuta irretrattabilmente certa e sicuramente non può essere revocata in dubbio né dal Bevilacqua che ha presentato la richiesta di legittimazione prima di procedere nel 1971 alla alienazione alla Caty; né, ovviamente, dalla stessa Caty la cui posizione giuridica derivata si qualifica negli stessi identici termini di quella del dante causa.

Non essendo stata concessa la legittimazione richiesta resta confermato che vi era stata una occupazione di terre di demanio civico non ratificata dal commissario agli usi civici nell’esercizio del suo potere discrezionale, subordinato all’approvazione sovrana, essendo noto che rispetto alla legittimazione non può configurarsi né un diritto soggettivo dell’occupatore abusivo, né un diritto dell’ente territoriale cui appartengono le terre di demanio civico, a conservare la preesistente situazione di vantaggio rispetto alle terre stesse e ad ottenerne la reintegrazione nel possesso. notazione questa che, sotto altro risvolto, viene a confermare la conclusione del difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria rispetto ad una vicenda che ha avuto il suo momento di emersione nella richiesta non accolta di legittimazione.

Ne risulta conseguentemente svuotata di contenuto la doglianza del Bevilacqua in termini di giurisdizione, travolta dall’approccio metodologicamente corretto e rispondente ad esatti principi giuridici cui è informata la decisione impugnata.

Costituisce una manifesta petizione di principio l’assunto che il commissario agli usi civici non avrebbe potuto pronunciare sulla domanda di legittimazione che incideva sul diritto soggettivo del Bevilacqua.

Non si può addebitare al giudice ordinario di non avere disapplicato l’ordinanza commissariale del 1958 per la evidente ragione che la disapplicazione di un atto amministrativo ne presuppone la illegittimità e di fronte alla istanza di legittimazione ed ai conseguenti poteri discrezionali cadeva ogni discorso sulla rivendicazione del diritto di proprietà, non potendosi ritenere emesso in carenza di poteri un atto al quale al Commissario era stato sollecitato proprio dalla parte attuale ricorrente che, avendo scelta la via della legittimazione implicante necessariamente la demanialità dei beni occupati, non può fari avanti a sostenere, una volta rifiutata la legittimazione, l’allodialità del fondo.

La preclusione di ogni questione circa la demanialità definitivamente accertata fuori dal presente giudizio non consente di prendere in considerazione le ulteriori argomentazioni contenute le ulteriori argomentazioni contenute nel motivo e tutte dirette a far valere la commerciabilità del bene de quo al momento della stipula dell’atto Morelli.

Di fronte ad un accertamento non costituente giudicato in senso tecnico, perché non proveniente da un giudice, la Corte d’appello ha ritenuto correttamente di non poter prescindere dalla preclusione che si era venuta ugualmente a verificare una volta che ogni possibile rimedio, anche giurisdizionale, nei confronti di quell’atto, ormai sicuramente inopponibile, era stato esperito senza successo.

Non essendovi più spazi per un accertamento giurisdizionale della qualitas soli (indipendentemente dalla sussistenza di un giudicato in senso tecnico che rappresenta la preclusione più forte e per eccellenza, ma non esaurisce le possibilità di cristallizzazione aliunde delle situazioni giuridiche) non poteva scattare il meccanismo della sospensione necessaria del giudizio in attesa della decisione sul punto davanti alla autorità competente a conoscere della qualitas soli anche per la assorbente ragione che un giudizio siffatto non era stato nemmeno instaurato.

2. La rinuncia, che può risultare anche da atti o fatti concludenti, in ordine alla contestazione del carattere demaniale di un bene è implicita nella domanda di legittimazione della occupazione, essendo giuridicamente impossibile la legittimazione di occupazione di terreni non demaniali. Indubbiamente la rinunzia potrebbe essere inficiata da errore, ripercuotendosi l’invalidità che ne consegue sui provvedimenti amministrativi conseguenziali alla domanda di legittimazione, ma non basta addurre l’errore per trasformare i relativi provvedimenti in decisioni impugnabili con reclamo alla Corte d’appello per gli usi civici. L’area dei rimedi esperibili resta quindi quella tipica delle impugnazioni giurisdizionali contro atti amministrativi.

Il Bevilacqua, per porre riparo alle conseguenze irretrattabili della richiesta di legittimazione, avrebbe dovuto perciò impugnare il diniego davanti al giudice amministrativo per far valere tra li altri vizi dell’atto eventualmente anche quello dipendente dall’erroneo convincimento circa la ritenuta demanialità civica dei suoli cui la domanda di legittimazione si riferiva. Non consta che ciò sia avvenuto nella specie; certo è che in questa sede il ricorrente nemmeno adombra profili di diritto volti a depotenziare gli effetti che la Corte d’appello correttamente ha fatto scaturire dalla sua domanda di legittimazione. Le osservazioni che precedono, (svolte sulla scia della motivazione della sentenza delle S.U. di questa Corte n. 5 del 1973) nell’indicare l’unico possibile punto di rottura della preclusione che non risulta esservi stato, valgono a corroborare l’esattezza delle conclusioni raggiunte dalla Corte d’Appello, la quale ha preso le mosse da una corretta puntualizzazione della nozione di legittimazione.

L’art. 9 della l. 16 giugno 1927 n. 1766 prevede che qualora sulle terre di uso civico siano avvenute occupazioni abusive la possibilità di renderle “legittime”, nel concorso di determinate condizioni, per disposizione del Commissario agli usi civici, il cui provvedimento, ampiamente discrezionale, diretto a stabilire la prevalenza dell’interesse dell’occupatore sul diritto “abbandonato” dal comune”, deve essere sottoposto, per divenire efficace, alla “approvazione sovrana”, ai sensi dell’ultimo comma del successivo art. 10.

Tale atto, anteriormente all’entrata in vigore della vigente costituzione repubblicana, veniva considerato addirittura da taluni autori atto di prerogativa regia, assimilabile al rescriptum gratiae: concezione questa da ritenere peraltro superata ove si consideri che l’art. 66 comma 7 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, con riguardo alle Regioni a statuto ordinario, stabilisce che l’approvazione suddetta è effettuata con decreto del Presidente della Repubblica, “d’intesa” con la Regione interessata.

Di fronte all’alternativa ricostruttiva della approvazione del provvedimento di legittimazione come atto di amministrazione attiva, conclusivo del provvedimento, ovvero di controllo dell’atto commissariale, resta pur sempre fuori discussione il carattere amministrativo (e non giurisdizione) del procedimento stesso e dell’atto che lo conclude rendendolo efficace.

Ed è parimenti fuori di dubbio che tale procedimento è concesso a favore dell’occupatore abusivo di terreni per sanare “tale abusività”, rendendo legittima l’occupazione donde la denominazione adottata a sottolineare l’intervenuta modificazione giuridica di una situazione che per l’innanzi si doveva considerare contro ius, trattandosi di renderla conforme al diritto nell’ovvio indiscutibile presupposto che il richiedente (ex ore tuo te iudico) riconosce di occupare terreni demaniali, chiedendo in via di grazia, che nonostante tale illegittimità, attraverso il bilanciamento degli interessi contrapposti riservato al commissario, si operi l’intervisione del titolo del possesso, risultando sicuramente sottesa dalla domanda di legittimazione il riconoscimento confessorio della qualità demaniale del suolo.

Di conseguenza, e per concludere, il meccanismo della legittimazione una volta attivato dell’interessato sfocia nella cristallizzazione preclusiva della demanialità quale presupposto indefettibile della legittimazione; e se tale legittimazione venga negata, come nella specie, l’effetto preclusivo si manifesta nella sua pienezza sul piano del diritto sostanziale rendendo irreversibile la situazione giuridica del bene.

Istanza di legittimazione

3. Le considerazioni che precedono valgono altresì per disattendere la tesi svolta nella memoria difensiva dal Bevilacqua secondo cui, alla stregua di valutazioni che queste Sezioni Unite dovrebbero compiere d’ufficio indipendentemente dalla prospettazione di specifiche censure, la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata senza rinvio salva la pronuncia sulle spese (ovvero in subordine andrebbe cassata con rinvio relativamente alle domande subordinate riguardanti la pretesa risarcitoria avanzata nei confronti del Comune di Curinga per culpa in contrahendo ovvero in estremo subordine per arricchimento senza causa).

Rispetto alla pronuncia di difetto di giurisdizione emessa dal primo giudice sul tema della qualitas soli la Corte d’appello ha ritenuto che si fosse formata al riguardo una preclusione di diritto sostanziale collegata alla confessione implicita di demanialità contenuta nella domanda di legittimazione respinta dal commissario; e nel respingere il terzo motivo di ricorso il ragionamento svolto dalla sentenza impugnata è stato ritenuto giuridicamente ineccepibile.

Assume il ricorrente che poiché una precedente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 5 del 9 gennaio 1973) aveva statuito la spettanza al Commissario della controversia diretta a far dichiarare la proprietà privata in capo ad esso Bevilacqua delle terre che con il provvedimento commissariale di reintegra del 30 giugno 1958 erano state invece ritenute di demanialità civica, rivestendo tale provvedimento natura amministrativa e non giurisdizione e non precludendo quindi la giustiziabilità delle ragioni del medesimo (da far valere davanti al giudice amministrativo per la tutela degli interessi; davanti al Commissario per la rivendicazione della qualità allodiale del fondo; davanti al tribunale ordinario per le eventuali domande di danni) e non avendo il tribunale con sentenza di primo grado emesso alcuna statuizione di merito sulle domande (né su quelle riguardanti la qualitas soli; né su quelle subordinate che non potevano essere prese in esame finché non fosse stata accertata definitivamente nella competente sede la qualità allodiale o demaniale del fondo) l’unica impugnazione teoricamente ammessa dalla legge sarebbe stato il regolamento necessario di giurisdizione.

Orbene già in questa affermazione che costituisce il presupposto della tesi giuridica che sta a cuore al ricorrente si annida un duplice errore giuridico: non essendo esatto che il regolamento di giurisdizione introduca una impugnazione in senso tecnico e non essendo previsto nel nostro ordinamento giuridico un regolamento “necessario” di giurisdizione essendo tale regolamento sempre alla scelta discrezionale della parte che se ne avvale per fare risolvere a priori, omisso medio, finché la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado, il problema di giurisdizione, anziché sottoporlo al giudice dell’appello. Sembra evidente che è stato confuso il regolamento necessario di competenza che costituisce il mezzo di attacco esclusivo della sentenza di primo grado che abbia conosciuto solo della competenza con un regolamento necessario di giurisdizione che non è previsto dall’ordinamento positivo.

Di fronte alla sentenza di primo grado il Bevilacqua avrebbe certamente potuto avvalersi del regolamento di giurisdizione nel rispetto delle condizioni di ammissibilità indicate dall’art. 41 Cost. ma non gli era inibito di avvalersi della normale sequenza impugnatoria investendo di gravame la sentenza davanti alla Corte d’appello, così come in effetti è accaduto senza che in alcun modo le controparti o lo stesso giudice adito gli abbiano opposto eccezioni di inammissibilità.

Soggiunge il ricorrente che la strada obbligata del regolamento non sarebbe stata peraltro in concreto percorribile essendosi già formato il giudicato sulla spettanza al Commissario della competenza a conoscere della qualitas soli, restando circoscritta l’unica impugnazione possibile al carico delle spese. Il giudice d’appello, che avrebbe dovuto rilevare d’ufficio l’inammissibilità del gravame, è passato erroneamente ad esaminare i presupposti e le condizioni di ammissibilità (non dell’appello in quanto tale, ma) delle domande delle parti ritenendole precluse violando i limiti funzionali della propria competenza.

La riassunta tesi è priva di giuridico pregio. Appare evidente che una volta ritenuta intangibile nel presente giudizio la qualità demaniale del fondo la Corte d’appello correttamente doveva darsi carico delle domande subordinate del Bevilacqua vagliandone preliminarmente la proponibilità, che dipendeva necessariamente dal suo intervento, sussistendo sicuramente la potestas iudicandi al riguardo, alla stregua dei principi generali in tema di impugnazione che rendevano appellabile la sentenza di primo grado nel complesso delle sue statuizioni senza che potesse discendere alcuna preclusione del carattere meramente processuale delle statuizioni medesime.

4. Il discorso torna quindi puntualmente nell’alveo dei motivi del ricorso. Riconosciuta, ormai definitivamente la qualità demaniale del fondo, non potendosi porsi alcun problema circa la competenza giurisdizionale ed emettere statuizioni al riguardo, si tratta di prendere in esame il primo motivo del ricorso con il quale si fa carico alla sentenza di avere erroneamente ipotizzato che l’intervento in causa del Bevilacqua fosse da qualificare ad adiuvandum e non consentisse, pertanto di impugnare autonomamente statuizioni della sentenza di primo grado.

La riconosciuta demanialità dei suoli cui si riferivano le domande della società Caty dirette ad ottenere il riconoscimento del suo diritto di proprietà secondaria per un verso comporta il rigetto delle domande principale contro il Comune di Curinga ed il Comune di Maida attribuisce attuale rilevanza alle domande subordinate formulate nel presupposto della paventata dichiarazione di nullità, per l’assoluta inalienabilità dei beni compravenduti, degli atti di trasferimento.

La Corte d’Appello tuttavia ha dichiarato inammissibili non soltanto quelle della Caty, che ha prestato acquiescenza alla pronuncia, ma pure quelle dell’interventore Bevilacqua, qualificando il suo intervento come “adesivo”.

E’ fuori discussione che l’interpretazione della domanda dell’interveniente, per stabilirne l’esatta portata ai fini della qualificazione come principale od adesivo, quando si tratta di verificare se sia stato commesso l’error in procedendo che si addebita alla sentenza impugnata può essere compiuta da questa Corte di cassazione attraverso l’esame degli atti.

Tanto più un esame siffatto si impone nei casi come quello qui considerato in cui il giudizio reso è stato puramente asseverativo in punto di diritto, senza che l’applicazione del principio giuridico alla specie sia stato in un qualche modo ricollegato al dato da interpretare e cioé al petitum.

Si tratta di indagine di carattere sicuramente decisivo giacché dalla diversa rilevazione del petitum e dalla correlativa qualificazione viene a dipendere la sorte della sentenza sul punto, essendo indiscusso che il soggetto che ha svolto intervento adesivo dipendente non è legittimato ad impugnare in via autonoma la sentenza che ha concluso in senso sfavorevole alla parte principale adiuvata (cfr. da ultimo cass. 3309-88), mentre il potere di impugnazione spetta a che ha proposto intervento autonomo.

Orbene nel caso di specie dalla semplice lettura delle conclusioni balza evidente che il Bevilacqua, quale sedicente proprietario di un fondo pro parte venduto alla Caty e per questo parte rivendicato dal Comune al proprio demanio civico, ha per un verso, intervenendo in giudizio sostenuto le buone ragioni della acquirente, ma per altro verso non si è limitato ad insistere perché fossero accolte le domande della Caty, riguardanti il diritto ad essa trasmesso con l’atto di compravendita, ma ha colto l’occasione della contestazione circa il carattere demaniale dell’intero fondo a lui pervenuto in linea successoria per sostenerne il carattere allodiale e così mettersi al riparo da contestazioni fondate sulla qualitas soli, chiedendo al giudice di accertare la sussistenza del suo diritto di proprietà privata sull’intero fondo. Non sembra quindi possibile dubitare, sotto questo aspetto, che sulla domanda della Caty si sia innestata, con riguardo al medesimo titolo di proprietà riferito allo stesso fondo, una domanda del tutto autonoma.

5. In verità la stessa Corte d’appello deve essere rimasta assai poco convinta della bontà della tesi giuridica processuale seguita nel negare al Bevilacqua potestà di impugnazione autonoma tanto che, con procedimento indubbiamente non corretto sul piano dei principi, ha ugualmente preso in esame le censure di cui alla impugnazione che aveva ritenuto preclusa, respingendole nel merito.

E’ agevole alla stregua della ricognizione fattuale delle domande proposte in giudizio dall’interveniente nel raffronto con il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte effettuarne l’inquadramento nel novero degli interventi adesivi autonomi cui si correla il potere di impugnazione.

Non par dubbio che quello concretamente spiegato dal Bevilacqua nel processo de quo debba essere considerato intervento adesivo autonomo, e lo legittimasse alla impugnazione con appello dal momento che egli non si è limitato a sostenere le ragioni della Caty, cui aveva alienato una porzione del fondo Moddone e Sirena, ma in relazione alla opposizione del Comune di Curinga, il quale assumeva la demanialità dell’inter fondo, facendo discendere dalla qualitas soli del medesimo la demanialità della porzione acquistata dalla società Caty, ha introdotto nel giudizio una domanda volta non già semplicemente a sostenere la legittimità del titolo di acquisto della predetta società, ma a far dichiarare nei confronti del Comune (non essendo ovviamente interessata alla dichiarazione ulteriore la Caty cui bastava vedersi confermare nel diritto di dominio sulla porzione acquistata) che il predetto fondo nella porzione residuata dopo l’alienazione parziale costituiva l’oggetto del suo diritto di proprietà. Il collegamento con l’oggetto nel rapporto, da parte a tutto, appare quindi di assoluta evidenza. Si discuteva in causa se il fondo fosse allodiale o demaniale e se quindi l’acquisto della Caty fosse suscettibile di trasferire il diritto; il Bevilacqua non si è limitato a difendere le ragioni della sua dante causa, nei limiti della pretesa del Comune di Curinga, ma ha preso spunto dalla deduzione in giudizio di una situazione coinvolgente la qualitas soli di quel fondo per rivendicare rispetto alla cospicua porzione ancora in suo possesso la legittimità del dominio, allargando l’area del giudizio, nel quale si discuteva solo delle pretese del Comune verso la Caty avente causa del Bevilacqua, per far valere verso il Comune (e non anche verso la Caty) la allodialità dell’intero fondo Sirene Morrone e Mocata, che assume essere di sua proprietà. 6. L’accoglimento del primo motivo comporta che, essendo da ritenere l’intervento del Bevilacqua adesivo autonomo gli era consentito di impugnare autonomamente la sentenza in relazione alle domande da lui proposte in giudizio, restando comunque priva di rilevanza la valutazione sul merito delle domande stesse fatta dalla Corte d’appello con manifesta esorbitanza dai propri poteri. E’ principio istituzionale che la inammissibilità della domanda preclude al giudice l’esame nel merito della medesima sicché la motivazione che il giudice svolga ad abundantiam, dopo avere riconosciuto che appunto perché inammissibile la domanda stessa non poteva essere introdotta nel processo, è priva di ogni effetto giuridico risultando le considerazioni all’uopo svolte insuscettibili di arrecare alcun nocumento al soggetto che la domanda abbia proposta, e ciò indipendentemente dal segno della valutazione di merito irritualmente compiuta: sia che il giudice si dolga di non poter dare ragione all’attore per ragioni processuali, esponendo a suffragio del suo “buon diritto”; sia che in un certo senso voglia rasserenarlo per l’infortunio processuale, precisando che anche se la domanda fosse stata esaminata nel merito non sarebbe stata accolta.

Si tratta invero, nell’uno come nell’altro caso, di attività giurisdizionale espressamente svolta, per riconoscimento della stessa autorità che l’ha compiuta, in carenza di potere e quindi insuscettibile di spiegare una qualsivoglia efficacia giuridica. Il Bevilacqua che aveva interesse a dolersi della pronuncia di inammissibilità della domanda una volta che l’errore è stato riconosciuto ed è caduta la falsa cortina dell’inammissibilità, potrà nel giudizio di rinvio riproporre le domande medesime e far valere le ragioni che a suo avviso ne comporterebbero l’accoglimento, mentre risulta assolutamente carente di interesse a censurare una attività giurisdizione che il giudice avendo dichiarato l’inammissibilità non avrebbe potuto compiere e quindi non è suscettibile di comportare a suo carico alcun pregiudizio.

I quesiti sulla intervenuta prescrizione dell’azione di risarcimento (e prima ancora sulla rituale deduzione dell’eccezione di prescrizione anche nel corso del giudizio d’appello pur essendosi limitato la controparte interessata ad un generico richiamo delle deduzioni di primo grado) e sulla sussistenza residualmente degli estremi della azione di indebito arricchimento anche rispetto a diritti ormai prescritti attengono a problemi che potranno essere dedotti in sede di rinvio senza che in alcun modo la loro soluzione resti pregiudicata dalla delibazione effettuatane ad abundantiam dal giudice che pur si era dichiarato privo di legittimazione nella sentenza impugnata.

7. In conclusione, respinto in linea pregiudiziale il terzo motivo di ricorso, attinente alla giurisdizione, va accolto il primo motivo con il quale, a ragione, si lamenta l’apodittica qualificazione dell’operato intervento come adesivo dipendente, laddove si trattava di intervento adesivo autonomo; mentre il secondo motivo, riferendosi ad una motivazione svolta ad abundantiam rispetto di una domanda riconosciuta inammissibile e ciò nonostante esaminata nel merito, non comportando effetti pregiudizievoli per il Bevilacqua, non può essere preso in esame risultando inammissibile per carenza di interesse.

In particolare per quanto attiene alla posizione del Comune di Maida esattamente viene osservato nel controricorso del comune stesso che l’impugnazione lo riguarda soltanto a proposito del terzo motivo in tema la giurisdizione, sicché il rigetto di tale mezzo ne tutela funditus le ragioni giuridiche.

Il ricorso pertanto, rigettato il III mezzo e dichiarando inammissibile il II, deve essere accolto in relazione al I° motivo con rinvio della causa per nuovo esame alla Corte d’Appello di Catanzaro cui si demanda altresì anche la liquidazione delle spese della

P.Q.M.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite

1. accoglie il primo motivo del ricorso, respinge il terzo e dichiara inammissibile il secondo;

2. cassa l’impugnata sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvia la causa per nuovo esame alla Corte d’Appello di Catanzaro (2).

Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle Sezioni Unite il 26 gennaio 1989.

(1) demaniali, aveva ordinato la reintegra del Comune di Curinga. p.a.

(2) che provvederà’ anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione. p.a.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 14 MARZO 1990