La transazione negli appalti pubblici

Una tematica alquanto particolare nell’ambito della materia dei contratti pubblici è senza dubbio quella legata all’uso dello strumento della transazione, che già prevista nel D.Lgs. 163/2006, è ora espressamente disciplinata dall’art. 208 D.Lgs. 50/2016, nonché, nei limiti della compatibilità, dalle norme contenute nel codice civile.

Sui limiti della transazione nei contratti pubblici

Tale strumento, come precisato dall’art. 208 del Codice del contratti pubblici può essere utilizzato “solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui non risulti possibile esperire altri rimedi alternativi all’azione giurisdizionale” e trova ulteriore limite nel divieto di ricorrere alla c.d. transazione novativa, ovvero allo stipulazione di un accordo volto a sostituire integralmente una precedente pattuizione, cui osta in modo netto e insuperabile il generale divieto di rinegoziazione dei contratti pubblici più volte ribadito sia della giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. V, 13 novembre 2002, n. 6281 e Cons. Stato, Sez. V, 18 gennaio 2006, n. 126) che dalla Corte di Giustizia UE, secondo cui essa costituirebbe una vera e propria nuova aggiudicazione (C.G. UE  causa C-337/98).

Inoltre, come precisato in più occasioni dalla Corte dei Conti, le modifiche apportate da un atto transattivo possono ritenersi legittime solo nella misura in cui esse si traducano in apporti funzionali al miglior perseguimento dell’interesse pubblico.

Quanto al primo limite, l’art. 208 pone un vero e proprio obbligo di avviare un tentativo di accordo bonario, il quale, ai sensi dell’art. 205, si traduce, in caso di esito positivo, nell’iscrizione, prima del rilascio del certificato di collaudo, di riserve tra il 5% e il 15% dell’importo contrattuale, e, in caso di esito negativo, nell’obbligo di dare conto nell’atto transattivo non solo di tale tentativo, ma anche delle motivazioni che hanno condotto alla stipulazione di una transazione al posto del componimento bonario.

Circa il secondo limite, invece, occorre ricordare che l’amministrazione, nel concludere una transazione, non si trova nella stessa posizione del privato, indi per cui, come precisato dalla giurisprudenza, il ricorso a tale strumento implica che “il procedimento di formazione della volontà contrattuale della p.a. non si svolge integralmente ed esclusivamente sul piano del diritto privato, articolandosi invece in due serie di atti, la prima (c.d. serie negoziale) costituita da atti civilistici, la seconda (c.d. serie procedimentale), composta da atti amministrativi, sindacabili di sicuro da parte del giudice amministrativo” (Cons. Stato, Sez. VI, 17 dicembre 2007, n. 6471).

La transazione nei contratti pubblici, pertanto,  presuppone una fase procedimentale a monte ed essa non può rappresentare un strumento mediante cui eludere le norme inderogabili contenute nel codice dei contratti pubblici (Consiglio di Stato, sez. VI, 8 aprile 2015, n. 1778); essa perciò è possibile solo nella misura in cui il rapporto contrattuale, pur modificato o integrato a seguito delle reciproche concessioni, mantenga la sua struttura originale, e cioè sia tale da non prevedere prestazioni nuove e diverse rispetto a quelle originariamente pattuite.

In particolare, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che da una transazione non può mai derivare un nuovo affidamento senza gara dello stesso servizio, lavoro o fornitura, così come un prolungamento della durata originaria, essendo infatti “indiscutibile che la transazione deve svolgersi in relazione a diritti disponibili delle parti e non consente di derogare alle disposizioni cogenti fissate dal codice dei contratti” (Cons. Stato, Sez. V, 2 febbraio 2010, n. 445)

Infine, in relazione al terzo limite, si osserva come la Corte dei Conti non abbia mancato di affermare la responsabilità personale dei soggetti pubblici coinvolti nella transazione, e più nello specifico del RUP, nell’ipotesi di invalido ricorso a tale rimedio (ex plurimis Corte conti, reg. Lombardia, Sez. giur., n. 569/05), che, si ricorda, è per l’appunto sottoposto al controllo della Corte dei conti come tutti i contratti pubblici.

La possibilità di ricomporre l’equilibrio contrattuale per il tramite dello strumento della transazione è dunque fortemente limitata e ove tale limiti non possano essere rispettati l’unica soluzione percorribile passa inevitabilmente per la risoluzione del contratto originario e l’indizione di una nuova gara per procedere ad una nuova aggiudicazione anche solo per portare a termine l’intervento.

Sui requisiti formali della transazione nei contratti pubblici

Quanto ai requisiti formali della transazione, l’art. 208  prescrive innanzitutto che “Ove il valore dell’importo oggetto di concessione o rinuncia sia superiore a 100.000 euro, ovvero 200.000 euro in caso di lavori pubblici, è acquisito il parere dell’Avvocatura dello Stato, qualora si tratti di amministrazioni centrali, ovvero di un legale interno alla struttura, o del funzionario più elevato in grado competente per il contenzioso, ove non esistente il legale interno, qualora si tratti di amministrazioni sub centrali“.

Tale parere, non vincolante, è comunque obbligatorio ed esso, come precisato dal Consiglio di Stato, trova il suo fondamento nel fatto che “tali contratti [di transazione] possono avere riflessi sulla finanza pubblica, l’ordinamento pubblicistico ha tradizionalmente circondato la relativa conclusione a particolari cautele” (Cons. Stato, Sez. cons. atti norm., 6 febbraio 2006, n. 355/06). La dottrina, peraltro, ha suggerito che esso dovrebbe essere “riferito agli aspetti giuridico legali della controversia — quali ad esempio l’ammissibilità della transazione in base ai presupposti della lite e la fondatezza della questione giuridica eccepita — e non al merito della fattispecie. In altri termini, il rafforzamento del giudizio maturato dall’amministrazione parte in causa non è richiesto sulla congruità dell’accordo raggiunto nella transazione, ma sulla convenienza della sua sottoscrizione dal punto di vista giuridico” (M. GOLA, Art. 239, La transazione, in Codice dei contratti pubblici, Le nuove leggi amministrative, Milano, 2007, p. 2043).

Acquisito il parere dell’avvocatura e sentito il responsabile del procedimento, come prescritto dal comma 3 dell’art. 208, il soggetto a cui è demandata la sottoscrizione dell’accordo transattivo è il medesimo dirigente responsabile del contratto originale, il quale esprime la sua volontà per mezzo di un atto che, al netto del nomen iuris, la giurisprudenza qualifica pacificamente come provvedimento amministrativo, in quanto tale impugnabile (Cons. Stato, Sez. VI, 22 marzo 2007, n. 1364).

Ovviamente l’altra parte stipulante è l’appaltatore, tuttavia occorre precisare che, nel caso di A.T.I.  o R.T.I., se è vero che la capogruppo mandataria ha la rappresentanza di tutte le altre imprese mandanti nell’esecuzione del contratto è altresì vero che non sempre l’oggetto del mandato, legato alla stipula del contratto originario, si estende anche la facoltà di transigere le controversie che nell’esecuzione dello stesso, indi per cui ai fini della validità della transazione potrebbe essere necessario anche l’assenso espresso di tutte le mandanti.

Infine, va precisato che, a differenza della disciplina civilistica, l’art. 208, prescrive uno specifico requisito di forma, dato che “La transazione ha forma scritta a pena di nullità“, come del resto per tutti i contratti pubblici (Cons. Stato, Sez. cons. atti norm., 6 febbraio 2006, n. 355/06).

Sui rimedi giurisdizionali legati alla transazione nei contratti pubblici

Per quanto riguarda i rimedi giurisdizionali concessi alle parti vi è sicuramente la possibilità di ricorrere al Giudice ordinario per ottenere in via alternativa l’esatto adempimento delle obbligazione contenuto nell’atto transattivo ovvero la risoluzione della transazione per inadempimento ex art. 1976 c.c., con contestuale esercizio dell’azione derivante dal rapporto precedente transatto.

Meno chiara invece è la possibilità dell’amministrazione di poter ricorrere all’uso dell’autotutela, dato che come condivisibilmente affermato dalla giurisprudenza, una volta stipulata la transazione viene meno anche il potere della pubblica l’amministrazione di incidere unilateralmente su di essa con un proprio provvedimento, il quale sarebbe viziato da una radicale carenza assoluta di potere (TAR Puglia, Bari, Sez. II, n. 3719/2006, TAR Liguria Sez. I, n. 656/2000, TAR Sicilia, Catania, Sez. II n. 48/2002).

Quel che è certo, come detto, è che la giurisdizione spetta al Giudice ordinario, dato che “L’esame della transazione tra amministrazione pubblica e privato che abbia avuto ad oggetto il corrispettivo contrattuale è devoluta alla cognizione del Giudice Ordinario, e pertanto un’eventuale azione di adempimento e condanna deve essere proposta dinanzi al Giudice Ordinario” (Cons. Stato Sez. III Sent., 22/02/2017, n. 838).